Questa ricerca nasce dai miei ricordi di bambino. Erano i primi anni ‘90, trascorrevo l’estate nella casa dei nonni. La classica casa coloniale veneta, costruita 100 anni prima, immersa nella campagna della Riviera del Brenta, precisamente a Fiesso d’Artico. Nei caldi e afosi pomeriggi d’estate, riposando all’”ombrea”, in attesa delle ore più fresche per tornare al lavoro nei campi, nonno Severino mi raccontava le storie della guerra passata, racconti di tedeschi, di fascisti, del Pippo e delle bombe. Nella sua vivace memoria vi era anche il ricordo di un aereo caduto a Fiesso, verso Arino di Dolo: “ Ale, xò de là xe cascà n’aereo” (Alessandro, giù di là è caduto un aereo).
Gli anni passano, crescendo cambiano le priorità e i racconti del nonno vengono messi in disparte dai nuovi interessi. Purtroppo, nel 2010, il nonno Severino ci ha lasciati, ma sembra che da lassù voglia ricordarmi dei suoi racconti che sempre più spesso ritornano nella mia mente. Mi sembra di udire ancora la sua voce ripetermi: “xò de là xe cascà n’aereo”. Questa frase è divenuta per me quasi un imperativo, al punto da sollecitarmi nella ricerca di notizie che potessero dare un volto, riportare in vita, la storia di questo mitico aereo e con esso, dare nuova consistenza ai suoi ricordi di nonno.
Questo desiderio mi ha portato anche a conoscere e iniziare a collaborare con l’Associazione “Aerei Perduti Polesine”, sodalizio che si occupa proprio di ricostruire storie di velivoli precipitati durante la seconda guerra mondiale.
Nel 2019 decido di partire con una vera e propria attività di indagine: inizio a cercare testimonianze tra le persone che, come il nonno, avevano vissuto quegli anni, anche se allora erano solo bambini. Una di queste è l’ex Sindaco di Fiesso d’Artico, Vittorio Pampagnin, tra l’altro autore di vari libri di storia locale. Molto gentilmente Vittorio mi ha ricevuto a casa sua per una chiacchierata amichevole e, tra i suoi ricordi, emerge un fatto già noto e ben conosciuto: l’incidente accaduto al Sottotenente Pietro Aldo Cacciola, pilota dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, precipitato a Sambruson di Dolo con il suo caccia. Incidente che costò la vita al pilota italiano.
A volte non è immediato richiamare alla memoria ricordi così lontani nel tempo e dei quali forse non si ha mai avuto occasione di parlare, ma proprio “rimestando” tra quei lontani anni di guerra, ecco emergere l’informazione che tanto speravo di ottenere: “Un giorno di primavera del 1944 o forse 1945, un pilota è atterrato appeso al paracadute vicino casa mia, a Dolo, grosso modo in corrispondenza dell’attuale Pizzeria San Marco. Io e mio fratello, mossi dalla curiosità, siamo corsi sul posto, era già arrivata una pattuglia di soldati tedeschi, che aveva soccorso il malcapitato. Ricordo perfettamente che il pilota imprecava in mezzo ai militari urlando “MALEDETTO AMERICANO!”, riferendosi probabilmente al pilota che lo aveva abbattuto.
Vittorio ricorda che l’aereo era precipitato in direzione di Arino di Dolo. Suo padre aveva preso una bicicletta e, dopo aver caricato il figlio sulla “canna della bicicletta”, si diresse a tutta forza verso via Torre per vedere i resti dell’aereo. Al loro arrivo, trovarono i militari tedeschi che presidiavano il relitto e allontanavano i curiosi. I ricordi, naturalmente stemperati dagli anni e dalla giovane età di Vittorio, sono di un grande aereo di colore verde e di ciò che sembrava una mitragliatrice tutta piegata che il papà gli aveva fatto notare essere conficcata nel terreno.
Purtroppo la testimonianza si limita a indicare la zona dove è avvenuto il crash, ma senza indicare il punto preciso dell’impatto, ciò nonostante, il racconto di Vittorio coincideva con quanto mi aveva sempre detto nonno Severino: l’aereo non può essere che lo stesso! Non mi resta che recarmi nella zona indicata, osservare il territorio dove più o meno era caduto l’aereo e, soprattutto, verificare se in loco ci sono altri testimoni. Adottando il classico metodo del “piazzista”, suonando po’ di campanelli, con alterne fortune, riesco ad avere un’indicazione che mi porta al Sig. Dino Artusi.
Dino è un arzillo ottantenne, mi riceve cordialmente nella sua proprietà, dove mi mostra i segni della guerra ancora visibili sulla sua casa: uno spezzone, sganciato da “Pippo”, aveva centrato il muro della camera da letto e, nonostante le riparazioni e i vari restauri fatti negli anni, la traccia della ferita aperta si distingue ancora, quasi a monito per non dimenticare il terrore vissuto e seminato dalla guerra.
Dino, all’epoca, era piccolo e per questo teme di non essere preciso nel rievocare l’evento, però si ricorda del “mio” aereo. E io sono ansioso di sentire il suo racconto. Egli ricorda che probabilmente era la primavera del 1945, tarda mattinata, quasi mezzogiorno, quando vide arrivare da Fiesso d’Artico un aereo che perdeva fumo. Dino lo seguì con lo sguardo sino allo schianto nei campi. Sempre in direzione di Fiesso vide anche il pilota scendere con il paracadute. In seguito gli venne raccontato che il pilota era italiano.
Dino ricorda che l’aereo si conficcò profondamente nel campo, ma la gente, pur sotto la minaccia delle armi dei soldati tedeschi, accorreva per portarsi via tutto il materiale che era rimasto in superficie. In seguito le famiglie locali lavorarono un’intera estate, anche con l’utilizzo di un paranco, per cercare di recuperare quanto dell’aereo era rimasto sotto terra, convinti che i rottami avrebbero portato molti soldi. Invece la delusione fu tanta, “tanto lavoro e pochi schei!” racconta sospirando Dino.
Grazie a lui ormai ho la certezza del punto del crash, sento di essere vicino alla conclusione della mia ricerca. Nonno Severino lassù ne sarà molto felice. Non mi resta che effettuare un sopralluogo alla ricerca di qualche frammento che comprovi la testimonianza di Dino. Anche se la sig. Carla, la proprietaria del campo oggetto della mia ricerca, non sa niente della storia, è ben felice di farmi fare una passeggiata tra le sue terre. Le indicazioni di Dino si rivelano di una precisione impensabile. Nel punto da lui indicato, proprio in superficie, ecco visibili frammenti di alluminio inequivocabilmente aeronautico. Ci siamo! sono esattamente sul punto del crash, la prima parte del lavoro e fatta!
Tra i frammenti metallici trovati in superficie c’è anche la traghetta con incisa la scritta “Mauser MG 151, destro” che conferma, se mai ci fossero stati dubbi, che si tratta di un aereo dell’Asse e non Alleato. Questo dettaglio permette di circoscrivere il campo delle ricerche documentaristiche ancora in atto mentre appena sarà possibile, tornerò con strumentazioni adeguate per verificare se nel sottosuolo ci sono parti consistenti del velivolo.
La ricerca dell’aereo del nonno Severino prosegue!