Tutto accade in un attimo, in un giorno imprecisato del 1944: un aereo precipita nel canale Destra Reno, uno schianto terribile in una giornata soleggiata, e pochi istanti dopo, dal cielo cade anche, con il paracadute aperto a fiamma, il pilota. Un attimo in cui una vita si ferma. E rimane un cratere, presso il quale tutti accorrono. E la visione di un giovane pilota, ormai privo di vita, immerso nel suo stesso sangue, diventa emblema di una guerra che sta distruggendo vite e speranze. Davanti al corpo del pilota si forma una corona di contadini e bambini, tra essi anche il proprietario del campo, il sig. Lino Ancarani. Arriva, osserva, poi si allontana velocemente per tornare poco dopo con in mano una fiala. La immerge nel sangue del pilota e la chiude. "Se mai qualcuno verrà a cercarlo, chissà, forse così potranno riconoscerlo" dirà il contadino più e più volte, negli anni, dopo che la guerra è finita, dopo che il dolore del presente diventa nebbia avvolta nel passato. Sarà proprio il sig. Ancarani poi, nel rientrare a casa dopo l'arrivo dei fascisti e dei tedeschi sul luogo del crash a trovare, nel mezzo del suo campo, la cuffia di volo del pilota con ancora i cavi del laringofono. La raccoglie. La porta con sè. Poi metterà il tutto, sangue e cuffia, in una cassetta da munizioni rimasta dimenticata nel suo cortile. Da quel giorno egli non seppe più nulla del pilota. A fine guerra tentò di recuperarne un nome, di dare un identità ad un ragazzo morto così, per una sorte maledetta che aveva impedito al suo paracadute di aprirsi, ma nulla. Pilota e nome svaniti nel nulla, al punto da far temere al proprietario del campo che il corpo di quell'americano non fosse mai giunto nel cimitero di Alfonsine. Unica voce che gli giunse nel tempo fu di una famiglia che ancora possedeva l'orologio del pilota. La voce di quella cuffia così a lungo custodita giunge alle orecchie di più persone. Qualcuno avvicina Ancarani sperando di impossessarsene. Ma egli è cosciente di un valore morale ad essa attribuito che va oltre ogni valore economico. E tiene con sè il ricordo. E lo trasmette al figlio, Pasquale Ancarani, che per tutta la vita rimarrà attaccato e fedele al lascito del padre. E lo custodirà gelosamente, forse presago che un giorno forse, da oltre oceano, qualcuno si sarebbe presentato a lui chiedendo informazioni di quel pilota misterioso.
Passano 70 anni. Un giorno a casa Ancarani giunge il Lanconelli, storico della seconda guerra mondiale. Lo porta lì la ricerca di un Lightning P-38, caccia pesante USAAF che, secondo rapporti americani, sarebbe caduto in zona. Si tratta del pilota Maj. Forrest Barker, MIA, disperso di guerra. E il Lanconelli a casa Ancarani trova un contrappeso in piombo proprio di un P-38. Terzo e ultimo ricordo di quel giorno imprecisato del 1944. Tutto fa pensare che si tratti proprio di Barker al punto che anche il DPAA (Defence Pow/Mia Account Agency), l'agenzia governativa americana che si occupa della ricerca dei dispersi di guerra, decide di fare visita al sig. Ancarani e di raccogliere da lui ogni possibile testimonianza. Eppure, dopo un mese di ricerche e riscontri, il luogo di caduta di Barker viene trovato nell'Appennino Tosco-Romagnolo. Errore incredibile nei MACR americani dell'epoca. Pertanto il nome del pilota precipitato nel campo di Ancarani rimane sconosciuto. Introvabile. Inutili le ricerche negli archivi cimiteriali di Alfonsine dai quali nulla emerge. Inutili le ricerche anagrafiche nonostante la compiacenza e la disponibilità della responsabile servizio del Comune. Nulla neppure negli archivi americani, che non hanno idea di chi possa essere quel P-38. Sarà il Lanconelli, una sera, comparando dati e traiettorie, a indovinare: 2nd Lt. Harris Everett, 18 novembre 1944, ultimo messaggio radio captato da Ancona. Una traccia radar che dava solamente la rotta rispetto ad Ancona, ma non la posizione su quella rotta. Ed ecco che Harris, quando comunicò che si stava lanciando, doveva proprio essere sopra Alfonsine. Ma nulla poteva provare quella che rimaneva una ipotesi. Mancava quindi il documento che ne comprovasse la validità. Il caso Harris rimane irrisolto. L'unica informazione che si riesce ad ottenere su di lui è l'attuale luogo di sepoltura: il Cimitero Americano di Anzio-Nettuno.
Eppure la sorte ha voluto diversamente. Ecco che una collaboratrice del Lanconelli si reca per ricerche all'Istituto storico della Resistenza di Alfonsine, presso il quale proprio ella aveva inviato l'anno prima i rappresentanti del DPAA. Il dott. Serena, messo al corrente delle ricerche, dichiara di aver trovato una segnalazione precisa circa l'aereo caduto presso gli Ancarani. E fa un nome: Harris. Forse li per li Serena non sa l'effetto che quel nome procura nella ricercatrice, ma è qualcosa che va oltre ogni aspettativa. Ogni speranza. Nel fondo della 28ma brigata "Mario Gordini" si trova un'intercettazione che non lascia dubbi a male interpretazioni: "EVERETT. L. HARRIS 759614 PILOTA AMERICANO ABBATUTO IN FIAMME ALLE 1700 DEL 21 NOV. 944 VICINO A 4853". Le coordinate riportate confermano che si tratta proprio del campo di Ancarani. Immediatamente viene data comunicazione al DPAA della notizia. Purtroppo però il file personale del pilota non si trova. Il sig. Ancarani viene messo a conoscenza della scoperta ed è allora che egli prende la sua decisione: "voglio consegnare la cuffia di Everett Harris ai suoi eredi". A questo punto iniziano le ricerche dei parenti del pilota. Lanconelli contatta negli Stati Uniti Mr. James Upton, un collaboratore del DPAA che non solo riesce a trovare il file personale di Harris con tutte le informazioni che confermano il luogo di caduta, ma anche il luogo di temporanea sepoltura nel vicino cimitero di Alfonsine. Ma soprattutto trova anche il fratello del pilota, Lawrence Harris, novantenne, in California. Lo trova attraverso un articolo nei giornali americani, articolo al quale prontamente i parenti di Harris rispondono. Lo stupore, la commozione sono immensi, sia da parte del fratello Lawrence che aveva visto Everett partire per la guerra e non fare più ritorno, ma anche per Ancarani che non poteva minimamente sospettare che dopo tanto tempo fosse ancora al mondo un parente così prossimo.
Ed è così che il tempo improvvisamente non ha più valore: passato e presente si incontrano in un attimo ben preciso e si concretizzano nelle parole che Ancarani scrive al fratello del pilota. Parole che nessuno conosce se non i diretti interessati, ma che non è difficile immaginare. Unitamente alla lettera, Ancarani ha preso la cuffia di volo di Harris e l'ha spedita al fratello. Troppo poco, se vogliamo, se si pensa che tutto ciò che rimane di un pilota e della sua storia sta chiuso in un pacco destinato in California. Eppure, ora che esso è giunto a destinazione suscitando lo stupore, il dolore e la gratitudine di Lawrence Harris, si ha l'impressione che una pagina di storia finalmente abbia avuto la sua collocazione. Gli oggetti di Harris sono stati donati da Lawrence al Museum of the Forgotten Warriors, dove è stata allestita una vetrina dedicata.
(cfr. www.museumoftheforgottenwarriors.org)
Rimane tra noi lo stupore della dedizione della famiglia Ancarani che per settanta anni ha custodito il ricordo di qualcosa che andava oltre la propria quotidianità. Si tratta un gesto umano che colpisce e che comunque lascia un insegnamento che non va perduto. Il valore fondamentale della memoria.
Elena Zauli